http://www.corriere.it/economia/12_lugl ... b733.shtmlAle66andro ha scritto:le più alte tasse in Europa? Sicuro? Per me la tua non è un'analisi portata avanti con dati ma sembrerebbe più uno slogan. Non voglio essere pedante, ma mi hanno insegnato a parlare di economia dati alla mano.
L'Eurostat fornisce annualmente un libretto molto utile a questi confronti.
Esempio: se prendiamo la tassazione sul reddito, vediamo che paesi come la Danimarca, il Belgio, l'Olanda, l'Austria ed ora anche la Francia, hanno tassi molto più alti di quelli applicati in Italia.
Altro esempio: prendiamo il tasso d'imposizione massima alle imprese, anche qui siamo largamente superati da Malta, Belgio, Francia, Spagna, Lussemburgo, Regno Unito, Germania e Svezia.
Per quanto riguarda l'IVA, siamo dietro a Danimarca, Svezia, Finlandia, Belgio, Irlanda e Portogallo.
Ti risparmio le Accise.
Le ragioni della poca appetibilità ad investire in Italia sono da ricercare altrove. Ci sono dei problemi atavici in Italia, addirittura antecedenti all'introduzione della lira.
Parliamo della crisi economica
-
- Fenomeno
- Reactions:
- Messaggi: 13865
- Iscritto il: lun 11 giu 2012, 17:24
- Stato: Non connesso
Re: Parliamo della crisi economica
FORZA ROMAAA!!!
Sono per la democrazia, nel bene e nel male
Sono per la democrazia, nel bene e nel male
- Ale66andro
- Capitano
- Reactions:
- Messaggi: 1896
- Iscritto il: sab 9 giu 2012, 13:28
- Stato: Non connesso
Parliamo della crisi economica
«Sotto il profilo aritmetico - si legge nel rapporto - il record mondiale dell'Italia nella pressione fiscale effettiva dipende più dall'elevato livello di sommerso economico che dall'elevato livello delle aliquote legali».romolo1988 ha scritto: http://www.corriere.it/economia/12_lugl ... b733.shtml
Ecco, se leggi bene, incomincerai a capire cosa intendo per problema atavico italiano.
Non sono le aliquote il problema.
"Certe persone sono impermeabili alle seduzioni della logica"
Re: Parliamo della crisi economica
Sposo totalmente ciò che ha ti ha detto Ale66adnro, inoltre non è vero che non si investe se la pressione fiscale è alta.romolo1988 ha scritto:non si investe qui perchè l'italia ha troppe tasse. siamo il paese con le più alte tasse in europa.
A) dipende dove la pressione fiscale si fa sentire
B) ci sono paesi con una pressione fiscale maggiore della nostra che attraggono investimenti (esempio, paesi del Nordeuropa.. dove però le tasse non vanno a coprire gli sprechi o a pagare gli interessi sul debito ma sostengono servizi).
Perché? Semplice, poca burocrazia e molta competitività.
Non parlerei dei suicidi, e accollarli al nuovo governo è semplicemente vergognoso.Aumentare le tasse significa solo peggiorare la crisi e lo vediamo adesso cosa sta succedendo con i suicidi e le centinaia di migliaia di famiglie ridotte in povertà. insisto che l'unica soluzione è quella di uscire dalla moneta unica perchè significherebbe togliersi dalla ghigliottina dell'euro.
Sull'Euro abbiamo già discusso: default in qualche anno.. potresti riprenderti piano-piano stile Argentina, con un modello di autarchia che farebbe tutto meno che attirare investimenti.
Per 3-4 anni ci sarebbe una situazione che tu nemmeno immagini (spero, perché se auspichi povertà diffusa, microcriminalità alle stelle e assalti ovunque non so proprio cosa dire).
Come già detto prima niente pensioni per un po', niente energia come la conosciamo (che significa niente riscaldamento e/o condizionatori).
A) Bugiardi perché?L'italia ha un sistema produttivo e soprattutto riserve auree che la rendono uno dei paesi più importanti d'europa. se rimaniamo con l'euro siamo destinati alla morte sociale.
con il ritono alla lira ci saranno difficoltà iniziali sicuramente ma mille volte meglio di quello a cui siamo destinati se rimaniamo nell'euro e soprattutto se rimaniamo con questi bugiardi al governo. L'italia si deve liberare dalle banche e dagli speculatori
B) Già detto tutto sull'Euro, o mi smentisci ciò che ho detto o è inutile andare avanti per partito preso.. chi paga le pensioni, come sostieni l'import?
C) Liberarsi dalle banche? Soldi sotto il materasso e prestiti da strozzini?
-
- Fenomeno
- Reactions:
- Messaggi: 13865
- Iscritto il: lun 11 giu 2012, 17:24
- Stato: Non connesso
Re: Parliamo della crisi economica
e qui siamo d'accordo, se tu dici questo ammetti che aumentare le tasse non serve, bisogna cercare altre soluzioni e, come giustamente tu dici la riduzione della burocrazia e l'ottimizzazione delle spese sono tra questeDedè ha scritto: Sposo totalmente ciò che ha ti ha detto Ale66adnro, inoltre non è vero che non si investe se la pressione fiscale è alta.
A) dipende dove la pressione fiscale si fa sentire
B) ci sono paesi con una pressione fiscale maggiore della nostra che attraggono investimenti (esempio, paesi del Nordeuropa.. dove però le tasse non vanno a coprire gli sprechi o a pagare gli interessi sul debito ma sostengono servizi).
Perché? Semplice, poca burocrazia e molta competitività.
si i suicidi li accollo a loro perchè chi sta portando all'esasperazione il nostro paese è proprio il governo monti. ti ripeto che con l'euro le prospettive sono molto molto peggiori e insisto nel dirti che l'italia ha i mezzi per uscirne. Nei prossimi giorni ti darò una risposta approfondita che mi fa sostenere quest'opinione; adesso non sono acasa mia e non ho molto tempo da dedicare alla discussioneNon parlerei dei suicidi, e accollarli al nuovo governo è semplicemente vergognoso.
Sull'Euro abbiamo già discusso: default in qualche anno.. potresti riprenderti piano-piano stile Argentina, con un modello di autarchia che farebbe tutto meno che attirare investimenti.
Per 3-4 anni ci sarebbe una situazione che tu nemmeno immagini (spero, perché se auspichi povertà diffusa, microcriminalità alle stelle e assalti ovunque non so proprio cosa dire).
Come già detto prima niente pensioni per un po', niente energia come la conosciamo (che significa niente riscaldamento e/o condizionatori).
li ritengo bugiardi perchè secondo me sanno benissimo determinate cose ma per altri tipi di interesse svolgono comunque un certo tipo di politica. hai ragione le cose vanno argomentate e lo farà con calma e dettagliatamente nei prossimi giorni. Riguardo alle banche non mi riferisco alle banche commerciali, ma alle banche che rappresentano e che hanno un certo tipo di potere e che esercitano un certo tipo di pressioneA) Bugiardi perché?
B) Già detto tutto sull'Euro, o mi smentisci ciò che ho detto o è inutile andare avanti per partito preso.. chi paga le pensioni, come sostieni l'import?
C) Liberarsi dalle banche? Soldi sotto il materasso e prestiti da strozzini?
FORZA ROMAAA!!!
Sono per la democrazia, nel bene e nel male
Sono per la democrazia, nel bene e nel male
Re: Parliamo della crisi economica
Sì, ma non ora.romolo1988 ha scritto: e qui siamo d'accordo, se tu dici questo ammetti che aumentare le tasse non serve, bisogna cercare altre soluzioni e, come giustamente tu dici la riduzione della burocrazia e l'ottimizzazione delle spese sono tra queste
Prima razionalizzi la spesa, poi nel giro dei prossimi 10 anni inizi ad abbassare la pressione fiscale.
Resta da capire perché tu prima abbia citato economisti che invece credono fortemente negli shock di spesa (avendo ragione, ma sbagliando nel pensare che ogni teoria sia applicabile così com'è in ogni situazione).
Spero che tu stia scherzando, stai dicendo cose gravissime.si i suicidi li accollo a loro perchè chi sta portando all'esasperazione il nostro paese è proprio il governo monti. ti ripeto che con l'euro le prospettive sono molto molto peggiori e insisto nel dirti che l'italia ha i mezzi per uscirne. Nei prossimi giorni ti darò una risposta approfondita che mi fa sostenere quest'opinione; adesso non sono acasa mia e non ho molto tempo da dedicare alla discussione
E' come prendersela con chi indica la luna e non con la luna, o con chi sta riparando un danno e non con chi l'ha fatto; insomma, è totalmente irrazionale e sciocco.
Di quali cose parli?li ritengo bugiardi perchè secondo me sanno benissimo determinate cose ma per altri tipi di interesse svolgono comunque un certo tipo di politica. hai ragione le cose vanno argomentate e lo farà con calma e dettagliatamente nei prossimi giorni. Riguardo alle banche non mi riferisco alle banche commerciali, ma alle banche che rappresentano e che hanno un certo tipo di potere e che esercitano un certo tipo di pressione
Ti riferisci alle banche d'investimento? E ripeto, chi finanzia progetti vincenti, imprese e crea ricchezza?
Senza investment banking la mobilità sociale è una chimera, è evidente che vanno risolti molti problemi ma prendersela con "le banche" è la cosa più facile e più stupida che si possa fare.
Nel private equity ad esempio non riesco proprio a vedere cosa ci sia di male.
- LazioEqualShit
- Fenomeno
- Reactions:
- Messaggi: 10382
- Iscritto il: sab 9 giu 2012, 17:43
- Località: A.S. Roma
- Stato: Non connesso
Re: Parliamo della crisi economica
Al di là di come la pensiate, un punto di vista diverso e interessante sulla crisi
http://www.beppegrillo.it/2012/07/la_gl ... crisi.html
http://www.beppegrillo.it/2012/07/la_gl ... crisi.html
Coraggio, il meglio è passato (Ennio Flaiano)
- jimmy
- Fuoriclasse
- Reactions:
- Messaggi: 6045
- Iscritto il: sab 9 giu 2012, 20:22
- Stato: Non connesso
Re: Parliamo della crisi economica
Occhio però all'utilizzo che viene fatto del pensiero di Stiglitz nel pezzo pubblicato...LazioEqualShit ha scritto:Al di là di come la pensiate, un punto di vista diverso e interessante sulla crisi
http://www.beppegrillo.it/2012/07/la_gl ... crisi.html
Anche se Stiglitz erano anni che cercava di far capire in che casino ci stavamo cacciando, le tesi indicate nell'articolo sono un po' forzate.
Il libro a cui si fa riferimento in fondo all'articolo "La globabalizzazione e i suoi oppositori" (traduzione forzata e fuorviante del titolo originale "Globalization and its discontents") è una lettura molto interessante e fa un'analisi disarmante delle crisi degli anni '90 verificatesi in Asia e in Russia (il libro è infatti del 2002 e c'entra poco con la situazione attuale, se non per un certo grado di "visione profetica").
Fa anche a pezzi l'operato della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, dimostrando come siano stati mossi da una fede cieca nella deregolamentazione e che, velatamente, abbiano "tirato la volata" ai gruppi economici statunitensi.
Alla fine dell'analisi la globalizzazione non viene assolutamente vista come un "mostro", bensì come un fenomeno economico inevitabile, ma governato male (fa a pezzi ovviamente WTO e similari).
La cosa che "scoraggia" leggermente è che Stiglitz sembra suggerire (sembra, ma non lo fa apertamente) che le uniche politiche economiche vincenti del periodo in esame siano state quelle adottate da regimi che non brillavano per democrazia (la Cina su tutti) e che potevano tranquillamente infischiarsene dalle pressioni dei suddetti organismi internazionali.
Per la crisi attuale consiglio di leggere invece, sempre di Stiglitz, "Bancarotta" del 2010.
P.s.: tranquilli, sono libri scorrevolissimi e non bisogna essere degli economisti per comprenderli.
P.p.s.: ovviamente, come già scritto in un post precedente, Stiglitz è uno dei miei economisti di riferimento.
I've spent a lot of money for alcohol, women and fast cars. The rest of it I've just wasted. (G. Best)
2012: citizens not subjects (R. Smith)
Preferisco le testecalde interessanti alle testedicazzo inutili
ilBranko vive e lotta insieme a noi!
2012: citizens not subjects (R. Smith)
Preferisco le testecalde interessanti alle testedicazzo inutili
ilBranko vive e lotta insieme a noi!
Re: Parliamo della crisi economica
Conosco Stiglitz di nome e per alcuni suoi articoli, come tutti gli economisti secondo me pecca di eccessiva fede nelle teorie.. ed è importante che cittadini e politici non vadano dietro a queste cose fideisticamente.
La realtà è una cosa ben diversa.. l'anti austerity di Stiglitz ha un senso (ragionando per massimi sistemi), ma l'Italia ha bisogno di austerità quanto un irlandese di birra.
Il Tax and Spend nordeuropeo è meraviglioso, ma l'Italia è altro.. e non può provocare shock di spesa.
Detto questo.. se la tesi di fondo di Grillo (o di Stiglitz, ma mi pare strano) è che la ""crisi"" sarebbe stata provocata dalla globalizzazione.. beh, questa è una caxxata incredibile.
Ripeto: la crisi economica in Italia la viviamo da fine anni '80 e la coltiviamo dagli anni '60.. se si parla della crisi statunitense penso che qui dentro tutti sappiamo che le cause siano ben altre dalla "globalizzazione".
La teoria di fondo potrebbe avere un senso se si parla del fatto che la globalizzazione abbia favorito il contagio (partendo dalla famosa crisi dei subprime, di cui se volete si può parlare..), ma questo non è che sia necessariamente un male.. per quanto noi, da cittadini e consumatori che oggi risentono della situazione pessima in cui siamo, non avremmo mai auspicato ciò.
Questa grande crisi è la crisi della verità.. ricordatevi sempre che la speculazione attacca i deboli, più che con gli speculatori (che siamo tutti noi, o almeno chiunque possegga dei titoli) dovremmo prendercela con chi ha fatto sì che noi si sia deboli.
La realtà è una cosa ben diversa.. l'anti austerity di Stiglitz ha un senso (ragionando per massimi sistemi), ma l'Italia ha bisogno di austerità quanto un irlandese di birra.
Il Tax and Spend nordeuropeo è meraviglioso, ma l'Italia è altro.. e non può provocare shock di spesa.
Detto questo.. se la tesi di fondo di Grillo (o di Stiglitz, ma mi pare strano) è che la ""crisi"" sarebbe stata provocata dalla globalizzazione.. beh, questa è una caxxata incredibile.
Ripeto: la crisi economica in Italia la viviamo da fine anni '80 e la coltiviamo dagli anni '60.. se si parla della crisi statunitense penso che qui dentro tutti sappiamo che le cause siano ben altre dalla "globalizzazione".
La teoria di fondo potrebbe avere un senso se si parla del fatto che la globalizzazione abbia favorito il contagio (partendo dalla famosa crisi dei subprime, di cui se volete si può parlare..), ma questo non è che sia necessariamente un male.. per quanto noi, da cittadini e consumatori che oggi risentono della situazione pessima in cui siamo, non avremmo mai auspicato ciò.
Questa grande crisi è la crisi della verità.. ricordatevi sempre che la speculazione attacca i deboli, più che con gli speculatori (che siamo tutti noi, o almeno chiunque possegga dei titoli) dovremmo prendercela con chi ha fatto sì che noi si sia deboli.
Re: Parliamo della crisi economica
Leggendo e sentendo certi attacchi alle banche, a Goldman Scachs.. sentendo al bar parlare di Trilateral e massoni mi viene in mente questo:
[youtube][/youtube]
..soprattutto per la seconda parte.
Leggete anche il libro se potete: come nascono le leggende complottistiche.
[youtube][/youtube]
..soprattutto per la seconda parte.
Leggete anche il libro se potete: come nascono le leggende complottistiche.
Re: Parliamo della crisi economica
In "poche" righe, come è nata la crisi, cosa ci ha insegnato e cosa dobbiamo fare per uscirne.
Consigliata la lettura a tutti, ma veramente tutti.
Dal CorSera di oggi:
CINQUE ANNI DI FOLLIE FINANZIARIE
A che punto è la notte
Il fondo salva-Stati non risolverà i problemi
Serve un’unione politica irreversibile
Era il luglio di cinque anni fa quando si avvertirono i primi scricchiolii in alcune banche americane, francesi e tedesche. Da allora abbiamo vissuto la più forte recessione dagli anni Trenta, la crescita è rallentata, e trovare un lavoro è diventato difficile dovunque. Questa crisi ci ha insegnato alcune verità.
Primo: le crisi finanziarie, soprattutto quelle scatenate da aumenti ingiustificati nei prezzi delle abitazioni producono, quando la bolla poi scoppia, recessioni molto lunghe. Le banche, dopo aver concesso mutui con grande leggerezza, senza chiedersi se il cliente debitore sarebbe stato in grado di sostenere le rate, subiscono perdite ingenti e devono ricapitalizzarsi. Ma a quel punto trovare capitali privati non è facile, e se interviene lo Stato, il debito pubblico esplode, come è accaduto in Stati Uniti, Irlanda e Spagna. Così il credito non riprende e l’economia ristagna a lungo. Lo abbiamo imparato dal libro di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, Questa volta è diverso. Otto secoli di follia finanziaria (Il Saggiatore, 2010) lettura consigliata per l’estate. Il titolo è volutamente ironico: questa volta «non» è diverso, la storia è piena di crisi finanziarie seguite da lunghe recessioni. Il Giappone è solo l’esempio più recente: non si è mai davvero ripreso dagli effetti della bolla immobiliare scoppiata nel 1989, e il debito pubblico ha raggiunto il 200 per cento del reddito nazionale. I due grafici visibili qui (in fondo all'articolo, NdDedé) illustrano in modo chiaro la durata di queste crisi e il ciclo del credito prima e dopo la crisi.
Secondo: occorre abbandonare l’illusione che per riprendere a crescere basti un po’ di spesa pubblica. Per vent’anni il Giappone le ha provate tutte: porti, metropolitane, alta velocità: il debito pubblico si è triplicato, ma la crescita non è mai arrivata. E anche il programma fiscale di Obama, se forse ha attenuato la recessione americana, certo non è riuscito a ridurre la disoccupazione e a far ripartire velocemente l’economia. E nel frattempo anche gli Stati Uniti hanno accumulato livelli di debito molto onerosi. Sono ancora Reinhart e Rogoff a mostrare che quando il debito pubblico sale oltre certi livelli diventa un macigno che rallenta a lungo la crescita.
Terzo: per risanare il sistema finanziario bisogna separare le banche dalla politica. In entrambe le direzioni: riducendo il potere dei politici sul sistema finanziario e l’influenza dei banchieri sui governi. Non è un caso che la prima banca che cinque anni fa entrò in difficoltà, fosse una cassa di risparmio pubblica tedesca: la IKB Deutsche Industriebank di Düsseldorf. Fallì perché concedeva prestiti a condizioni non di mercato alle imprese amiche dei politici suoi azionisti e per far tornare i conti acquistava mutui immobiliari, apparentemente molto redditizi, in Florida e Nevada, i due Stati in cui la bolla immobiliare americana fu più acuta. Una vicenda analoga a quella delle Caixas spagnole: se il governo di Madrid non le avesse protette fino all’ultimo, negando che fossero tutte fallite, forse oggi la Spagna sarebbe in una situazione meno drammatica. Oggi le banche pubbliche tedesche si oppongono con forza al trasferimento dei poteri di vigilanza alla Banca centrale europea: temono occhi indipendenti con cui sarebbe difficile venire a patti. Se l’avessero vinta, l’unione bancaria non vedrebbe la luce e l’euro avrebbe i giorni contati. Ma l’indipendenza deve essere anche nel senso contrario. Nella vicenda del Libor, il tasso interbancario londinese, i rapporti fra la Banca d’Inghilterra e i dirigenti di Barclays sono parsi a volte eccessivamente confidenziali. Esercitare moral suasion è il mestiere più difficile di un banchiere centrale, un’arte che richiede discrezione, ma che non deve mai lasciar dubbi sull’indipendenza dell’autorità preposta a vigilare sulle banche. Negli Stati Uniti le riforme proposte dall’ex presidente della Federal Reserve, Paul Volcker, che vietano alle banche commerciali di intraprendere attività speculative, rimangono in gran parte inapplicate, per l’influenza che Wall Street continua a esercitare su Washington. La riforma Dodd-Frank è un complicatissimo pasticcio entro i cui meandri certe pratiche oscure potrebbero continuare.
Quarto: la crisi ha dimostrato la fragilità del progetto europeo. Finché tutto andava bene le fondamenta tenevano. Da quando è scoppiata la crisi, la costruzione traballa pericolosamente. Ma invece di trovare una soluzione, i politici europei non fanno che accusarsi tra loro ritardando gli interventi necessari. È ormai chiaro che l’euro non si salverà con scorciatoie e tappabuchi come gli eurobonds o i fondi salva-Stato. Affidare il salvataggio dell’euro alla speranza che le «formiche del Nord» salvino «le cicale del Sud» socializzando i loro debiti è ingiusto, politicamente impossibile, ma soprattutto non servirebbe a nulla. Un salvataggio senza una maggiore integrazione politico- economica dell’eurozona avrebbe solo l’effetto di dare alle cicale la possibilità di rimandare riforme già troppo a lungo procrastinate. Dopo di che le tensioni tra Sud e Nord riesploderebbero con più forza. L’euro si salva (se si vuol farlo) con un piano coerente di medio termine di integrazione bancaria, fiscale e politica dell’eurozona. Ciò non significa gli Stati Uniti d’Europa, ma un’architettura coerente che permetta all’unione monetaria di funzionare. Una prima decisione, dopo aver affidato la vigilanza bancaria alla Bce, potrebbe essere un primo passo nel trasferimento della sovranità sui propri conti pubblici. Ad esempio si potrebbe decidere (seguendo una proposta che è stata avanzata in Germania) che se un Paese non rispetta gli obiettivi sui conti pubblici, la nuova legge finanziaria che si renderà necessaria (incluse le riforme indispensabili per renderla credibile) non sarà scritta dal governo di quel Paese, ma dalla Commissione di Bruxelles, e non sarà votata dal suo Parlamento, ma dal Parlamento europeo (una proposta che dovrebbe però essere accompagnata da un rafforzamento della credibilità dell’istituzione di Strasburgo). A fronte di una simile decisione la Germania e gli altri Paesi del Nord potrebbero decidere che si è fatto un passo sufficientemente irreversibile verso l’unione politica da giustificare interventi atti a garantire che il sistema non esploda prima di raggiungere il traguardo finale. Per esempio concedere una licenza bancaria allo European stability mechanism (Esm), cioè consentire che la nuova istituzione europea abbia accesso alla liquidità della Bce, condizione necessaria affinché la quantità di eventuali acquisti di titoli pubblici sia sufficiente a renderli credibili. Oppure creare, sempre attraverso l’Esm, una garanzia europea sui depositi bancari (analogamente a quanto avvenne negli Stati Uniti durante la Grande depressione) cioè l’impegno, qualunque cosa accada, a rimborsarli in euro. È ciò che Angela Merkel ripete da tempo: siamo pronti a correre dei rischi, ma solo a fronte di progressi concreti nel trasferimento di sovranità.
Quinto: i compiti a casa dobbiamo continuare a farli, non solo quando lo spread sale. Accusare i tedeschi per le mancanze della nostra storia recente è puerile. Gli italiani non si sono ancora ben resi conto di quanto complessi debbano essere questi compiti. Ci si illude se si pensa che basti «ridurre gli sprechi». Serve ben altro: occorre ripensare a quello che il nostro Stato può e non può fare. Bisogna evitare che di servizi pubblici di fatto gratuiti beneficino anche i ricchi, e non solo le famiglie indigenti. Occorre ridurre le tasse che gravano su chi lavora e produce. È molto difficile crescere con un debito pubblico che supera il 100% del Pil e un peso fiscale che per i contribuenti onesti è tra i più alti al mondo. Serve una «rivoluzione » del nostro Stato sociale, non solo ritocchi. La Germania ha iniziato a farlo dieci anni fa, e ora ne trae i benefici.
Sesto: la giustizia sociale va garantita creando il più possibile pari opportunità per tutti. Una delle ragioni dell’incremento della disuguaglianza che ha preceduto la crisi è stata la crescita del premio retributivo per chi ha accumulato capitale umano, cioè ha studiato. L’investimento in formazione ha reso di più e favorito chi poteva permetterselo. Non demonizzare la ricchezza quindi, ma offrire a tutti la possibilità di acquisire gli strumenti necessari. Premiare il merito, punire le rendite di posizione, scardinare i privilegi, rendere il mercato più equo, colpire l’evasione. Seconda lettura per l’estate: Luigi Zingales, A capitalism for the people, New York, Basic Books 2012.
Il tempo sta per scadere. Come scrisse Rudi Dornbusch, uno degli economisti più lucidi del Novecento: «Le crisi spesso durano molto più a lungo di quanto si pensi. Ma poi svoltano e si avvitano in un baleno. Ci vogliono dei mesi, ma poi basta una notte».
Alberto Alesina e Francesco Giavazzi
22 luglio 2012 | 9:23
© RIPRODUZIONE RISERVATA

http://www.corriere.it/editoriali/12_lu ... 1621.shtml
Consigliata la lettura a tutti, ma veramente tutti.
Dal CorSera di oggi:
CINQUE ANNI DI FOLLIE FINANZIARIE
A che punto è la notte
Il fondo salva-Stati non risolverà i problemi
Serve un’unione politica irreversibile
Era il luglio di cinque anni fa quando si avvertirono i primi scricchiolii in alcune banche americane, francesi e tedesche. Da allora abbiamo vissuto la più forte recessione dagli anni Trenta, la crescita è rallentata, e trovare un lavoro è diventato difficile dovunque. Questa crisi ci ha insegnato alcune verità.
Primo: le crisi finanziarie, soprattutto quelle scatenate da aumenti ingiustificati nei prezzi delle abitazioni producono, quando la bolla poi scoppia, recessioni molto lunghe. Le banche, dopo aver concesso mutui con grande leggerezza, senza chiedersi se il cliente debitore sarebbe stato in grado di sostenere le rate, subiscono perdite ingenti e devono ricapitalizzarsi. Ma a quel punto trovare capitali privati non è facile, e se interviene lo Stato, il debito pubblico esplode, come è accaduto in Stati Uniti, Irlanda e Spagna. Così il credito non riprende e l’economia ristagna a lungo. Lo abbiamo imparato dal libro di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, Questa volta è diverso. Otto secoli di follia finanziaria (Il Saggiatore, 2010) lettura consigliata per l’estate. Il titolo è volutamente ironico: questa volta «non» è diverso, la storia è piena di crisi finanziarie seguite da lunghe recessioni. Il Giappone è solo l’esempio più recente: non si è mai davvero ripreso dagli effetti della bolla immobiliare scoppiata nel 1989, e il debito pubblico ha raggiunto il 200 per cento del reddito nazionale. I due grafici visibili qui (in fondo all'articolo, NdDedé) illustrano in modo chiaro la durata di queste crisi e il ciclo del credito prima e dopo la crisi.
Secondo: occorre abbandonare l’illusione che per riprendere a crescere basti un po’ di spesa pubblica. Per vent’anni il Giappone le ha provate tutte: porti, metropolitane, alta velocità: il debito pubblico si è triplicato, ma la crescita non è mai arrivata. E anche il programma fiscale di Obama, se forse ha attenuato la recessione americana, certo non è riuscito a ridurre la disoccupazione e a far ripartire velocemente l’economia. E nel frattempo anche gli Stati Uniti hanno accumulato livelli di debito molto onerosi. Sono ancora Reinhart e Rogoff a mostrare che quando il debito pubblico sale oltre certi livelli diventa un macigno che rallenta a lungo la crescita.
Terzo: per risanare il sistema finanziario bisogna separare le banche dalla politica. In entrambe le direzioni: riducendo il potere dei politici sul sistema finanziario e l’influenza dei banchieri sui governi. Non è un caso che la prima banca che cinque anni fa entrò in difficoltà, fosse una cassa di risparmio pubblica tedesca: la IKB Deutsche Industriebank di Düsseldorf. Fallì perché concedeva prestiti a condizioni non di mercato alle imprese amiche dei politici suoi azionisti e per far tornare i conti acquistava mutui immobiliari, apparentemente molto redditizi, in Florida e Nevada, i due Stati in cui la bolla immobiliare americana fu più acuta. Una vicenda analoga a quella delle Caixas spagnole: se il governo di Madrid non le avesse protette fino all’ultimo, negando che fossero tutte fallite, forse oggi la Spagna sarebbe in una situazione meno drammatica. Oggi le banche pubbliche tedesche si oppongono con forza al trasferimento dei poteri di vigilanza alla Banca centrale europea: temono occhi indipendenti con cui sarebbe difficile venire a patti. Se l’avessero vinta, l’unione bancaria non vedrebbe la luce e l’euro avrebbe i giorni contati. Ma l’indipendenza deve essere anche nel senso contrario. Nella vicenda del Libor, il tasso interbancario londinese, i rapporti fra la Banca d’Inghilterra e i dirigenti di Barclays sono parsi a volte eccessivamente confidenziali. Esercitare moral suasion è il mestiere più difficile di un banchiere centrale, un’arte che richiede discrezione, ma che non deve mai lasciar dubbi sull’indipendenza dell’autorità preposta a vigilare sulle banche. Negli Stati Uniti le riforme proposte dall’ex presidente della Federal Reserve, Paul Volcker, che vietano alle banche commerciali di intraprendere attività speculative, rimangono in gran parte inapplicate, per l’influenza che Wall Street continua a esercitare su Washington. La riforma Dodd-Frank è un complicatissimo pasticcio entro i cui meandri certe pratiche oscure potrebbero continuare.
Quarto: la crisi ha dimostrato la fragilità del progetto europeo. Finché tutto andava bene le fondamenta tenevano. Da quando è scoppiata la crisi, la costruzione traballa pericolosamente. Ma invece di trovare una soluzione, i politici europei non fanno che accusarsi tra loro ritardando gli interventi necessari. È ormai chiaro che l’euro non si salverà con scorciatoie e tappabuchi come gli eurobonds o i fondi salva-Stato. Affidare il salvataggio dell’euro alla speranza che le «formiche del Nord» salvino «le cicale del Sud» socializzando i loro debiti è ingiusto, politicamente impossibile, ma soprattutto non servirebbe a nulla. Un salvataggio senza una maggiore integrazione politico- economica dell’eurozona avrebbe solo l’effetto di dare alle cicale la possibilità di rimandare riforme già troppo a lungo procrastinate. Dopo di che le tensioni tra Sud e Nord riesploderebbero con più forza. L’euro si salva (se si vuol farlo) con un piano coerente di medio termine di integrazione bancaria, fiscale e politica dell’eurozona. Ciò non significa gli Stati Uniti d’Europa, ma un’architettura coerente che permetta all’unione monetaria di funzionare. Una prima decisione, dopo aver affidato la vigilanza bancaria alla Bce, potrebbe essere un primo passo nel trasferimento della sovranità sui propri conti pubblici. Ad esempio si potrebbe decidere (seguendo una proposta che è stata avanzata in Germania) che se un Paese non rispetta gli obiettivi sui conti pubblici, la nuova legge finanziaria che si renderà necessaria (incluse le riforme indispensabili per renderla credibile) non sarà scritta dal governo di quel Paese, ma dalla Commissione di Bruxelles, e non sarà votata dal suo Parlamento, ma dal Parlamento europeo (una proposta che dovrebbe però essere accompagnata da un rafforzamento della credibilità dell’istituzione di Strasburgo). A fronte di una simile decisione la Germania e gli altri Paesi del Nord potrebbero decidere che si è fatto un passo sufficientemente irreversibile verso l’unione politica da giustificare interventi atti a garantire che il sistema non esploda prima di raggiungere il traguardo finale. Per esempio concedere una licenza bancaria allo European stability mechanism (Esm), cioè consentire che la nuova istituzione europea abbia accesso alla liquidità della Bce, condizione necessaria affinché la quantità di eventuali acquisti di titoli pubblici sia sufficiente a renderli credibili. Oppure creare, sempre attraverso l’Esm, una garanzia europea sui depositi bancari (analogamente a quanto avvenne negli Stati Uniti durante la Grande depressione) cioè l’impegno, qualunque cosa accada, a rimborsarli in euro. È ciò che Angela Merkel ripete da tempo: siamo pronti a correre dei rischi, ma solo a fronte di progressi concreti nel trasferimento di sovranità.
Quinto: i compiti a casa dobbiamo continuare a farli, non solo quando lo spread sale. Accusare i tedeschi per le mancanze della nostra storia recente è puerile. Gli italiani non si sono ancora ben resi conto di quanto complessi debbano essere questi compiti. Ci si illude se si pensa che basti «ridurre gli sprechi». Serve ben altro: occorre ripensare a quello che il nostro Stato può e non può fare. Bisogna evitare che di servizi pubblici di fatto gratuiti beneficino anche i ricchi, e non solo le famiglie indigenti. Occorre ridurre le tasse che gravano su chi lavora e produce. È molto difficile crescere con un debito pubblico che supera il 100% del Pil e un peso fiscale che per i contribuenti onesti è tra i più alti al mondo. Serve una «rivoluzione » del nostro Stato sociale, non solo ritocchi. La Germania ha iniziato a farlo dieci anni fa, e ora ne trae i benefici.
Sesto: la giustizia sociale va garantita creando il più possibile pari opportunità per tutti. Una delle ragioni dell’incremento della disuguaglianza che ha preceduto la crisi è stata la crescita del premio retributivo per chi ha accumulato capitale umano, cioè ha studiato. L’investimento in formazione ha reso di più e favorito chi poteva permetterselo. Non demonizzare la ricchezza quindi, ma offrire a tutti la possibilità di acquisire gli strumenti necessari. Premiare il merito, punire le rendite di posizione, scardinare i privilegi, rendere il mercato più equo, colpire l’evasione. Seconda lettura per l’estate: Luigi Zingales, A capitalism for the people, New York, Basic Books 2012.
Il tempo sta per scadere. Come scrisse Rudi Dornbusch, uno degli economisti più lucidi del Novecento: «Le crisi spesso durano molto più a lungo di quanto si pensi. Ma poi svoltano e si avvitano in un baleno. Ci vogliono dei mesi, ma poi basta una notte».
Alberto Alesina e Francesco Giavazzi
22 luglio 2012 | 9:23
© RIPRODUZIONE RISERVATA

http://www.corriere.it/editoriali/12_lu ... 1621.shtml
-
- Fenomeno
- Reactions:
- Messaggi: 13865
- Iscritto il: lun 11 giu 2012, 17:24
- Stato: Non connesso
Re: Parliamo della crisi economica
Nei prossimi 10 anni? se si continua con queste riforme in queste condizioni l'italia non dura neanche 2 anni. Prima di togliere i soldi si devono eliminare gli sprechi (quelli veri e non gli ospedali e i servizi per i cittadini) non fare il contrarioDedè ha scritto: Sì, ma non ora.
Prima razionalizzi la spesa, poi nel giro dei prossimi 10 anni inizi ad abbassare la pressione fiscale.
Resta da capire perché tu prima abbia citato economisti che invece credono fortemente negli shock di spesa (avendo ragione, ma sbagliando nel pensare che ogni teoria sia applicabile così com'è in ogni situazione).
me la prendo con chi invece di soccorrere un ferito gli passa sopra con la macchinaSpero che tu stia scherzando, stai dicendo cose gravissime.
E' come prendersela con chi indica la luna e non con la luna, o con chi sta riparando un danno e non con chi l'ha fatto; insomma, è totalmente irrazionale e sciocco.
è ovvio che non mi riferisco a tutte le investment banking ma a quelle che hanno più intromissioni in politica. Ti consiglio di andarti a leggere quante ramificazioni ha la goldman sachs nella politica mondiale. Io non me la prendo con le banche ma me la prendo con chi attua politiche che hanno come interesse solo il benessere e il risanamento delle banche invece che degli stati.Di quali cose parli?
Ti riferisci alle banche d'investimento? E ripeto, chi finanzia progetti vincenti, imprese e crea ricchezza?
Senza investment banking la mobilità sociale è una chimera, è evidente che vanno risolti molti problemi ma prendersela con "le banche" è la cosa più facile e più stupida che si possa fare.
Nel private equity ad esempio non riesco proprio a vedere cosa ci sia di male.
Riguardo poi agli speculatori ce ne sarabbe da parlare per ore. dico solo alcune cose. Per la maggiorparte dei broker finanziari l'economia è un gioco e in questo gioco si divertono a fare quante più scommesse possibili. Non importa chi è a rimetterci l'importante è cercare di guadagnare il più possibile; Se poi uno dovesse qualche grave errore al limite si guadagna una bella liquidazione da milioni e milioni di dollari.
FORZA ROMAAA!!!
Sono per la democrazia, nel bene e nel male
Sono per la democrazia, nel bene e nel male
Re: Parliamo della crisi economica
Intanto gira un documento dell'Institute for New Economic Thinking messo su da Soros proprio in piena crisi (quella iniziale.. mutui subprime and co).
Buona lettura, a chi gli va..
Non il solito attacco speculativo
Come salvare l’Europa
Da Soros e dagli autorevoli economisti del giro viene un appello (montiano) alla condivisione di debiti e responsabilità tra Bce e stati
Pubblichiamo ampi stralci di “Uscire dallo stallo, un sentiero fuori dalla crisi”, il manifesto pubblicato dall’Institute for New Economic Thinking (INET) sull’attuale situazione europea.
E’ ancora possibile – dal punto di vista economico e politico – trovare una via d’uscita per la crisi dell’Eurozona se i politici gestiscono separatamente due questioni: affrontare i costi ereditati dalla concezione originaria dell’Eurozona, e raddrizzare questa stessa concezione. Il primo punto richiede significative ripartizioni degli obiettivi nazionali e una strategia economica focalizzata sulla stabilizzazione dei paesi attualmente sofferenti per recessione e fuga di capitali. Il secondo punto richiede invece un’unione fiscale e bancaria con solide istituzioni all’interno dell’area euro e una forma minima di prestatore di ultima istanza.
1. Siamo convinti che in questo momento, nel luglio 2012, l’Europa stia camminando come un sonnambulo nella direzione di un disastro di proporzioni incalcolabili. Nelle ultime settimane, la situazione nei paesi debitori si è deteriorata drammaticamente. Il senso di una crisi senza via d’uscita, con un effetto domino da un paese all’altro, dev’essere ribaltato. L’ultima tessera del domino, la Spagna, ha i giorni contati prima di una crisi di liquidità, secondo il suo stesso ministro delle Finanze. Questa situazione drammatica è il risultato del sistema dell’euro, com’è attualmente costruito, e decisamente non più funzionante. La causa è un fallimento sistemico che ha esacerbato prima un boom di flussi di capitale e credito, e poi ha complicato le conseguenze dello stesso boom, trasformatosi nello scoppio della bolla. E’ responsabilità di tutti i paesi europei che hanno contribuito a questo meccanismo fallace quella di contribuire adesso alla sua soluzione; questo non vuol dire che i costi della crisi debbano essere suddivisi tra i cittadini dell’Eurozona; il fallimento sistemico non assolve dalle proprie responsabilità i decisori, le banche, gli organi di controllo che presero o consentirono scelte di credito e indebitamento imprudenti. Significa però che il modo con cui i mercati stanno adesso mettendo in atto punizioni contro nazioni specifiche è una misera risposta, e che invece una reazione efficace alla crisi dovrebbe essere collettiva e prevedere una condivisione di responsabilità tra paesi. In mancanza di ciò, l’euro si disintegrerà.
2. I leader europei riconoscono il bisogno di una risposta collettiva. Fino a oggi l’Eurozona è scivolata verso il break-up per diversi mesi nonostante le incalcolabili perdite e le sofferenze umane che ciò ha comportato. Causa di ciò è stato il mancato accordo tra paesi in attivo e paesi in deficit su un piano d’azione che rassicurasse sia i mercati finanziari sia tenesse in considerazione i bisogni dei cittadini in entrambi i tipi di paesi. Recessioni sempre più pesanti e alta disoccupazione stanno incidendo sullo stato sociale nei paesi in deficit e causando enormi ed evitabili sofferenze umane. Alleviare queste dovrebbe essere la priorità per i politici dell’Eurozona. Inoltre, la sensazione che non ci sia una luce alla fine del tunnel sta deteriorando il livello di sostegno dei cittadini a misure di controllo della spesa e di riforme strutturali, oltre a incentivare fughe di capitali. Allo stesso tempo, l’idea che nei paesi a rischio le riforme possano avvenire solo sotto pressione mette a rischio, nei paesi invece virtuosi, il consenso attorno a misure anticrisi più efficaci. Mentre negli stati periferici diventa più difficile raddrizzare i conti, al nord diventa più arduo ottenere consenso su questi sforzi. Risolvere la crisi attuale non è un gioco a somma zero. Al contrario, è una scelta in cui si vince entrambi, creditori e debitori. Le perdite economiche e politiche che la fine dell’euro comporterebbe sono probabilmente di un ordine di grandezza maggiore dei potenziali trasferimenti resi necessari per risolvere i problemi ereditati dalla struttura dell’euro. (…)
Una soluzione raggiungibile di lungo periodo
Controlli fiscali. Un rilevante passo avanti per scoraggiare il “free riding” fiscale è il Fiscal compact del marzo 2012, che cerca di inglobare le regole europee nelle legislazioni nazionali, pur mantenendo un po’ di spazio di manovra per politiche anticicliche. Tuttavia, nel contesto delle democrazie nazionali, le regole fiscali non possono essere credibili al 100 per cento poiché le leggi possono essere sempre cambiate tramite una decisione del Parlamento, questa è l’essenza della democrazia. Il Fiscal compact ha fatto tutto il possibile per assicurare che le sue regole siano osservate e rispettate sia pur nel contesto democratico di ogni stato sovrano. Queste tensioni diminuirebbero, o cesserebbero del tutto, in presenza di un’unione politica federale. Alcuni membri del Consiglio (dell’Inet, ndr) vedono in una mossa verso l’unione federale il necessario sviluppo dell’area euro. Nel breve periodo, le esternalità associate a deviazioni dalle norme fiscali approvate a livello nazionale devono essere contenute tramite livelli di aggiustamento automatici. Per esempio, alcune aliquote Iva potrebbero cambiare, o alcuni limiti alla spesa pubblica potrebbero venire imposti. Il Consiglio ritiene che il Fiscal compact debba permettere spazio maggiore per politiche fiscali anticicliche: dato che aggiustamenti automatici a livello di Eurozona sono già in atto, non dovrebbero esserci molte obiezioni a permettere a paesi in profonda recessione di mettere in atto politiche di stimolo più forti di quelle permesse attualmente dal compact. Per consentire un controllo democratico, l’istituzione incaricata della sorveglianza fiscale dovrebbe essere controllabile a sua volta dal Parlamento europeo.
Un prestatore di ultima istanza per i governi che rispettino il Fiscal compact. Idealmente, dovrebbe essere la Banca centrale europea (Bce). Il nuovo Fondo salva stati (Esm) sarà pure in grado di svolgere questo ruolo, nonostante le sue limitazioni allo stato attuale, una volta che il livello di debiti sovrani sarà ridotto significativamente da quello attuale, e quando le fughe di capitali tra stati saranno mitigate (…). Consentire all’Esm di avere sufficiente potenza di fuoco per centrare i suoi obiettivi richiede che gli venga data una licenza bancaria in modo che possa approvvigionarsi a tassi favorevoli dalla Bce. (…)
Misure urgenti di breve periodo
Le riforme istituzionali di cui si è scritto sarebbero sufficienti a mettere l’Eurozona su un terreno solido solo se accompagnate da un efficace processo di aggiustamento che neutralizzi gli alti livelli di debito e le perdite di competitività accumulate durante la crisi e anche nei periodi precedenti in un numero di paesi. Il dilemma è come fare ciò nel mezzo di una recessione che sta iniziando a portare molte società verso il punto di rottura, anche alla luce del potere e della dimensione (e finora dello scetticismo) dei mercati finanziari. La risposta deve coinvolgere una combinazione di misure straordinarie che includano riforme fiscali strutturali mirate a minimizzare i costi immediati sul pil dei tassi reali di cambio e degli aggiustamenti fiscali, il sostegno dai Fondi esistenti (l’Efsf e l’Esm), un sostegno ulteriore da parte dei paesi in attivo, ristrutturazioni volontarie del debito, un ruolo eccezionale della Bce ed eccezionali misure d’emergenza di politica economica e monetaria.
Messa in comune parziale e temporanea del debito pregresso. Il debito “ereditato” è in parte il risultato del cattivo progetto dell’euro, così come di pessime politiche degli stati membri insieme alle forti pressioni esercitate dalla crisi finanziaria del 2007-2008. Il nostro gruppo ha negato il bisogno di una vasta e permanente mutualizzazione dei debiti sovrani come necessaria caratteristica dell’Eurozona. Tuttavia, affrontare problemi ereditati richiede un sostegno ufficiale per i paesi che cercano di mettere in sicurezza i loro conti. Il nostro Consiglio appoggia le proposte del Consiglio degli esperti economici tedeschi, di concedere progressivamente una garanzia sul debito pregresso per i paesi che perseguono un’adeguata messa in sicurezza dei conti sotto la procedura di deficit eccessivo prevista dalla Ue. Come giusto incentivo, si potrebbe dare forma a una garanzia sulle nuove emissioni di debito fino a una certa soglia prefissata. L’agenzia inizialmente preposta a questi acquisti potrebbe essere l’Efsf/Esm, supportata da un impegno Ue a un più vasto “redemption fund” garantito o da ulteriore capitale o dal potere di stampare moneta sotto una garanzia congiunta, se ciò fosse necessario. L’Esm potrebbe anche ricevere una licenza bancaria per dimostrare che ha adeguata potenza di fuoco, o se la sua capacità di farsi imprestare denaro direttamente dalla Bce fosse considerata in violazione del Trattato, il suo debito potrebbe essere strumento primario negli acquisti sul mercato secondario della Bce. Ristrutturazioni volontarie del debito potrebbero consistere in uno swap tra titoli vecchi e nuovi con lo stesso valore nominale ma con scadenze allungate (per esempio, di 5 anni).
Riforme strutturali su cui concentrarsi: 1) riforme finalizzate a ripristinare la solvibilità senza pesare sulla produzione (per esempio, aumentare l’età pensionabile); 2) riforme che possano comportare costi sul pil o costi fiscali nel breve ma che creino miglioramenti sui conti e sulla competitività nel lungo periodo (per esempio, riduzione del personale della Pubblica amministrazione, riforme nel mercato del lavoro); e 3) “svalutazioni fiscali” che abbassino i costi fiscali sul lavoro in maniera neutrale (essenzialmente, sostituendo tasse sul lavoro con imposte indirette). Il secondo gruppo di misure potrebbe essere finanziato (e il suo impatto controbilanciato) da una combinazione di trasferimenti diretti dal bilancio Ue e prestiti a basso costo dall’Efsf/Esm.
Ruolo provvisorio della Bce nella crisi. Mettere in atto tutti i succitati meccanismi necessiterà di tempo. Passi convincenti verso un’unione bancaria e un piano di medio termine di riduzione del debito supportato da garanzie temporanee darebbero alla Bce lo spazio per agire più efficacemente sul mercato del debito sovrano e anche nel comunicare ai mercati che questo strumento verrà attivamente utilizzato. In particolare, visto che il Fiscal compact ha fatto molto per assicurare l’impegno di una regola fiscale e di una credibilità all’interno del contesto democratico di ogni stato sovrano, e visto che nei casi di Spagna e Italia siamo in presenza di crisi che si autoalimentano, crediamo che la Bce potrebbe e dovrebbe impegnarsi in interventi molto più vasti sul mercato dei titoli di paesi che stanno rispettando i loro impegni. Crediamo che questo intervento sia una condizione per far funzionare il meccanismo di trasmissione della politica monetaria in tutti gli stati membri, e che questo sia in linea con il mandato della stessa Bce.
Misure macroeconomiche e monetarie d’emergenza. Ogni piano di miglioramento dei prezzi relativi di questa portata deve evitare la deflazione in ogni paese, che aggraverebbe lo stock di debito. Così la crescita dei prezzi nei paesi in attivo non può essere così lenta da arrivare alla deflazione, accanto a una larga schiera di paesi in deficit già all’apice della recessione. La Bce deve usare qualunque mezzo (convenzionale e non convenzionale) per assicurare una più omogenea trasmissione della politica monetaria. Come ha suggerito il Fondo monetario internazionale (Fmi), la politica monetaria dovrebbe essere accomodante in questo periodo emergenziale, utilizzando politiche convenzionali e non, per supportare il pil nominale e facilitare gli aggiustamenti dei tassi di cambio reale di cui c’è bisogno. I paesi in surplus con “spazio” fiscale dovrebbero utilizzare questo spazio per aiutare a sostenere la domanda aggregata nell’Eurozona presa nel suo totale. E gli stati membri dell’euro dovrebbero vedere urgentemente se c’è modo per le istituzioni europee di agire più efficacemente per la crescita economica di tutta l’area. L’orizzonte temporale previsto per queste misure straordinarie potrebbe essere di circa cinque anni. Dopo questa fase iniziale, la riduzione del debito pubblico in linea con le regole fiscali Ue avrebbe bisogno di continuare in alcuni dei paesi ad alto debito, come l’Italia. Tuttavia, presumiamo che coi benefici di una ripresa economica e di misure strutturali già intraprese, la continuativa riduzione del debito potrebbe avvenire senza supporto finanziario esterno. Dunque, per rassicurare i cittadini dei paesi creditori che il contributo finanziario – in particolar modo per supportare i prezzi delle nuove emissioni di debito nei paesi in deficit – non si trasformerà in un pozzo senza fondo, ci potrebbe essere un limite concordato a un periodo non superiore a cinque anni.
(traduzione di Michele Masneri)
***
I firmatari
Patrick Artus (Global Chief Economist, Natixis - Banque de Financement et d’Investissement), Erik Berglof (Chief Economist and Special Adviser to the President, European Bank for Reconstruction and Development), Peter Bofinger (professore dell’Università di Würzburg), Giancarlo Corsetti (professore dell’Università di Cambridge), Paul De Grauwe (professore London School of Economics e Political Science), Guillermo de la Dehesa (presidente del Centre for Economic Policy Research (Cepr), Lars Feld (professore di Politica economica all’Università di Friburgo), Jean-Paul Fitoussi (professore emerito all’Institut d’Etudes Politiques di Parigi), Luis Garicano (professore di Economia e strategia, London School of Economics), Daniel Gros (direttore del Centre for European Policy Studies (Ceps)), Kevin O’Rourke (professore di Storia economica, università di Oxford), Lucrezia Reichlin (professore di Economia, London Business School), Hélène Rey (professore di Economia, London Business School), André Sapir (Senior Fellow, Bruegel), Dennis Snower (presidente del Kiel Institute for the World Economy), Beatrice Weder di Mauro (professore di Economia, Johannes Gutenberg University of Mainz).
© - FOGLIO QUOTIDIANO
http://www.ilfoglio.it/soloqui/14371
Buona lettura, a chi gli va..
Non il solito attacco speculativo
Come salvare l’Europa
Da Soros e dagli autorevoli economisti del giro viene un appello (montiano) alla condivisione di debiti e responsabilità tra Bce e stati
Pubblichiamo ampi stralci di “Uscire dallo stallo, un sentiero fuori dalla crisi”, il manifesto pubblicato dall’Institute for New Economic Thinking (INET) sull’attuale situazione europea.
E’ ancora possibile – dal punto di vista economico e politico – trovare una via d’uscita per la crisi dell’Eurozona se i politici gestiscono separatamente due questioni: affrontare i costi ereditati dalla concezione originaria dell’Eurozona, e raddrizzare questa stessa concezione. Il primo punto richiede significative ripartizioni degli obiettivi nazionali e una strategia economica focalizzata sulla stabilizzazione dei paesi attualmente sofferenti per recessione e fuga di capitali. Il secondo punto richiede invece un’unione fiscale e bancaria con solide istituzioni all’interno dell’area euro e una forma minima di prestatore di ultima istanza.
1. Siamo convinti che in questo momento, nel luglio 2012, l’Europa stia camminando come un sonnambulo nella direzione di un disastro di proporzioni incalcolabili. Nelle ultime settimane, la situazione nei paesi debitori si è deteriorata drammaticamente. Il senso di una crisi senza via d’uscita, con un effetto domino da un paese all’altro, dev’essere ribaltato. L’ultima tessera del domino, la Spagna, ha i giorni contati prima di una crisi di liquidità, secondo il suo stesso ministro delle Finanze. Questa situazione drammatica è il risultato del sistema dell’euro, com’è attualmente costruito, e decisamente non più funzionante. La causa è un fallimento sistemico che ha esacerbato prima un boom di flussi di capitale e credito, e poi ha complicato le conseguenze dello stesso boom, trasformatosi nello scoppio della bolla. E’ responsabilità di tutti i paesi europei che hanno contribuito a questo meccanismo fallace quella di contribuire adesso alla sua soluzione; questo non vuol dire che i costi della crisi debbano essere suddivisi tra i cittadini dell’Eurozona; il fallimento sistemico non assolve dalle proprie responsabilità i decisori, le banche, gli organi di controllo che presero o consentirono scelte di credito e indebitamento imprudenti. Significa però che il modo con cui i mercati stanno adesso mettendo in atto punizioni contro nazioni specifiche è una misera risposta, e che invece una reazione efficace alla crisi dovrebbe essere collettiva e prevedere una condivisione di responsabilità tra paesi. In mancanza di ciò, l’euro si disintegrerà.
2. I leader europei riconoscono il bisogno di una risposta collettiva. Fino a oggi l’Eurozona è scivolata verso il break-up per diversi mesi nonostante le incalcolabili perdite e le sofferenze umane che ciò ha comportato. Causa di ciò è stato il mancato accordo tra paesi in attivo e paesi in deficit su un piano d’azione che rassicurasse sia i mercati finanziari sia tenesse in considerazione i bisogni dei cittadini in entrambi i tipi di paesi. Recessioni sempre più pesanti e alta disoccupazione stanno incidendo sullo stato sociale nei paesi in deficit e causando enormi ed evitabili sofferenze umane. Alleviare queste dovrebbe essere la priorità per i politici dell’Eurozona. Inoltre, la sensazione che non ci sia una luce alla fine del tunnel sta deteriorando il livello di sostegno dei cittadini a misure di controllo della spesa e di riforme strutturali, oltre a incentivare fughe di capitali. Allo stesso tempo, l’idea che nei paesi a rischio le riforme possano avvenire solo sotto pressione mette a rischio, nei paesi invece virtuosi, il consenso attorno a misure anticrisi più efficaci. Mentre negli stati periferici diventa più difficile raddrizzare i conti, al nord diventa più arduo ottenere consenso su questi sforzi. Risolvere la crisi attuale non è un gioco a somma zero. Al contrario, è una scelta in cui si vince entrambi, creditori e debitori. Le perdite economiche e politiche che la fine dell’euro comporterebbe sono probabilmente di un ordine di grandezza maggiore dei potenziali trasferimenti resi necessari per risolvere i problemi ereditati dalla struttura dell’euro. (…)
Una soluzione raggiungibile di lungo periodo
Controlli fiscali. Un rilevante passo avanti per scoraggiare il “free riding” fiscale è il Fiscal compact del marzo 2012, che cerca di inglobare le regole europee nelle legislazioni nazionali, pur mantenendo un po’ di spazio di manovra per politiche anticicliche. Tuttavia, nel contesto delle democrazie nazionali, le regole fiscali non possono essere credibili al 100 per cento poiché le leggi possono essere sempre cambiate tramite una decisione del Parlamento, questa è l’essenza della democrazia. Il Fiscal compact ha fatto tutto il possibile per assicurare che le sue regole siano osservate e rispettate sia pur nel contesto democratico di ogni stato sovrano. Queste tensioni diminuirebbero, o cesserebbero del tutto, in presenza di un’unione politica federale. Alcuni membri del Consiglio (dell’Inet, ndr) vedono in una mossa verso l’unione federale il necessario sviluppo dell’area euro. Nel breve periodo, le esternalità associate a deviazioni dalle norme fiscali approvate a livello nazionale devono essere contenute tramite livelli di aggiustamento automatici. Per esempio, alcune aliquote Iva potrebbero cambiare, o alcuni limiti alla spesa pubblica potrebbero venire imposti. Il Consiglio ritiene che il Fiscal compact debba permettere spazio maggiore per politiche fiscali anticicliche: dato che aggiustamenti automatici a livello di Eurozona sono già in atto, non dovrebbero esserci molte obiezioni a permettere a paesi in profonda recessione di mettere in atto politiche di stimolo più forti di quelle permesse attualmente dal compact. Per consentire un controllo democratico, l’istituzione incaricata della sorveglianza fiscale dovrebbe essere controllabile a sua volta dal Parlamento europeo.
Un prestatore di ultima istanza per i governi che rispettino il Fiscal compact. Idealmente, dovrebbe essere la Banca centrale europea (Bce). Il nuovo Fondo salva stati (Esm) sarà pure in grado di svolgere questo ruolo, nonostante le sue limitazioni allo stato attuale, una volta che il livello di debiti sovrani sarà ridotto significativamente da quello attuale, e quando le fughe di capitali tra stati saranno mitigate (…). Consentire all’Esm di avere sufficiente potenza di fuoco per centrare i suoi obiettivi richiede che gli venga data una licenza bancaria in modo che possa approvvigionarsi a tassi favorevoli dalla Bce. (…)
Misure urgenti di breve periodo
Le riforme istituzionali di cui si è scritto sarebbero sufficienti a mettere l’Eurozona su un terreno solido solo se accompagnate da un efficace processo di aggiustamento che neutralizzi gli alti livelli di debito e le perdite di competitività accumulate durante la crisi e anche nei periodi precedenti in un numero di paesi. Il dilemma è come fare ciò nel mezzo di una recessione che sta iniziando a portare molte società verso il punto di rottura, anche alla luce del potere e della dimensione (e finora dello scetticismo) dei mercati finanziari. La risposta deve coinvolgere una combinazione di misure straordinarie che includano riforme fiscali strutturali mirate a minimizzare i costi immediati sul pil dei tassi reali di cambio e degli aggiustamenti fiscali, il sostegno dai Fondi esistenti (l’Efsf e l’Esm), un sostegno ulteriore da parte dei paesi in attivo, ristrutturazioni volontarie del debito, un ruolo eccezionale della Bce ed eccezionali misure d’emergenza di politica economica e monetaria.
Messa in comune parziale e temporanea del debito pregresso. Il debito “ereditato” è in parte il risultato del cattivo progetto dell’euro, così come di pessime politiche degli stati membri insieme alle forti pressioni esercitate dalla crisi finanziaria del 2007-2008. Il nostro gruppo ha negato il bisogno di una vasta e permanente mutualizzazione dei debiti sovrani come necessaria caratteristica dell’Eurozona. Tuttavia, affrontare problemi ereditati richiede un sostegno ufficiale per i paesi che cercano di mettere in sicurezza i loro conti. Il nostro Consiglio appoggia le proposte del Consiglio degli esperti economici tedeschi, di concedere progressivamente una garanzia sul debito pregresso per i paesi che perseguono un’adeguata messa in sicurezza dei conti sotto la procedura di deficit eccessivo prevista dalla Ue. Come giusto incentivo, si potrebbe dare forma a una garanzia sulle nuove emissioni di debito fino a una certa soglia prefissata. L’agenzia inizialmente preposta a questi acquisti potrebbe essere l’Efsf/Esm, supportata da un impegno Ue a un più vasto “redemption fund” garantito o da ulteriore capitale o dal potere di stampare moneta sotto una garanzia congiunta, se ciò fosse necessario. L’Esm potrebbe anche ricevere una licenza bancaria per dimostrare che ha adeguata potenza di fuoco, o se la sua capacità di farsi imprestare denaro direttamente dalla Bce fosse considerata in violazione del Trattato, il suo debito potrebbe essere strumento primario negli acquisti sul mercato secondario della Bce. Ristrutturazioni volontarie del debito potrebbero consistere in uno swap tra titoli vecchi e nuovi con lo stesso valore nominale ma con scadenze allungate (per esempio, di 5 anni).
Riforme strutturali su cui concentrarsi: 1) riforme finalizzate a ripristinare la solvibilità senza pesare sulla produzione (per esempio, aumentare l’età pensionabile); 2) riforme che possano comportare costi sul pil o costi fiscali nel breve ma che creino miglioramenti sui conti e sulla competitività nel lungo periodo (per esempio, riduzione del personale della Pubblica amministrazione, riforme nel mercato del lavoro); e 3) “svalutazioni fiscali” che abbassino i costi fiscali sul lavoro in maniera neutrale (essenzialmente, sostituendo tasse sul lavoro con imposte indirette). Il secondo gruppo di misure potrebbe essere finanziato (e il suo impatto controbilanciato) da una combinazione di trasferimenti diretti dal bilancio Ue e prestiti a basso costo dall’Efsf/Esm.
Ruolo provvisorio della Bce nella crisi. Mettere in atto tutti i succitati meccanismi necessiterà di tempo. Passi convincenti verso un’unione bancaria e un piano di medio termine di riduzione del debito supportato da garanzie temporanee darebbero alla Bce lo spazio per agire più efficacemente sul mercato del debito sovrano e anche nel comunicare ai mercati che questo strumento verrà attivamente utilizzato. In particolare, visto che il Fiscal compact ha fatto molto per assicurare l’impegno di una regola fiscale e di una credibilità all’interno del contesto democratico di ogni stato sovrano, e visto che nei casi di Spagna e Italia siamo in presenza di crisi che si autoalimentano, crediamo che la Bce potrebbe e dovrebbe impegnarsi in interventi molto più vasti sul mercato dei titoli di paesi che stanno rispettando i loro impegni. Crediamo che questo intervento sia una condizione per far funzionare il meccanismo di trasmissione della politica monetaria in tutti gli stati membri, e che questo sia in linea con il mandato della stessa Bce.
Misure macroeconomiche e monetarie d’emergenza. Ogni piano di miglioramento dei prezzi relativi di questa portata deve evitare la deflazione in ogni paese, che aggraverebbe lo stock di debito. Così la crescita dei prezzi nei paesi in attivo non può essere così lenta da arrivare alla deflazione, accanto a una larga schiera di paesi in deficit già all’apice della recessione. La Bce deve usare qualunque mezzo (convenzionale e non convenzionale) per assicurare una più omogenea trasmissione della politica monetaria. Come ha suggerito il Fondo monetario internazionale (Fmi), la politica monetaria dovrebbe essere accomodante in questo periodo emergenziale, utilizzando politiche convenzionali e non, per supportare il pil nominale e facilitare gli aggiustamenti dei tassi di cambio reale di cui c’è bisogno. I paesi in surplus con “spazio” fiscale dovrebbero utilizzare questo spazio per aiutare a sostenere la domanda aggregata nell’Eurozona presa nel suo totale. E gli stati membri dell’euro dovrebbero vedere urgentemente se c’è modo per le istituzioni europee di agire più efficacemente per la crescita economica di tutta l’area. L’orizzonte temporale previsto per queste misure straordinarie potrebbe essere di circa cinque anni. Dopo questa fase iniziale, la riduzione del debito pubblico in linea con le regole fiscali Ue avrebbe bisogno di continuare in alcuni dei paesi ad alto debito, come l’Italia. Tuttavia, presumiamo che coi benefici di una ripresa economica e di misure strutturali già intraprese, la continuativa riduzione del debito potrebbe avvenire senza supporto finanziario esterno. Dunque, per rassicurare i cittadini dei paesi creditori che il contributo finanziario – in particolar modo per supportare i prezzi delle nuove emissioni di debito nei paesi in deficit – non si trasformerà in un pozzo senza fondo, ci potrebbe essere un limite concordato a un periodo non superiore a cinque anni.
(traduzione di Michele Masneri)
***
I firmatari
Patrick Artus (Global Chief Economist, Natixis - Banque de Financement et d’Investissement), Erik Berglof (Chief Economist and Special Adviser to the President, European Bank for Reconstruction and Development), Peter Bofinger (professore dell’Università di Würzburg), Giancarlo Corsetti (professore dell’Università di Cambridge), Paul De Grauwe (professore London School of Economics e Political Science), Guillermo de la Dehesa (presidente del Centre for Economic Policy Research (Cepr), Lars Feld (professore di Politica economica all’Università di Friburgo), Jean-Paul Fitoussi (professore emerito all’Institut d’Etudes Politiques di Parigi), Luis Garicano (professore di Economia e strategia, London School of Economics), Daniel Gros (direttore del Centre for European Policy Studies (Ceps)), Kevin O’Rourke (professore di Storia economica, università di Oxford), Lucrezia Reichlin (professore di Economia, London Business School), Hélène Rey (professore di Economia, London Business School), André Sapir (Senior Fellow, Bruegel), Dennis Snower (presidente del Kiel Institute for the World Economy), Beatrice Weder di Mauro (professore di Economia, Johannes Gutenberg University of Mainz).
© - FOGLIO QUOTIDIANO
http://www.ilfoglio.it/soloqui/14371
- deacon frost
- Fenomeno
- Reactions:
- Messaggi: 10810
- Iscritto il: mar 12 giu 2012, 2:32
- Stato: Non connesso
Re: Parliamo della crisi economica
Si ma in realtà, i cittadini onesti subiscono una pressione fiscale del 55% : in poche parole, pagano pure per gli evasori e il sommerso economico!!!!Ale66andro ha scritto: «Sotto il profilo aritmetico - si legge nel rapporto - il record mondiale dell'Italia nella pressione fiscale effettiva dipende più dall'elevato livello di sommerso economico che dall'elevato livello delle aliquote legali».
Ecco, se leggi bene, incomincerai a capire cosa intendo per problema atavico italiano.
Non sono le aliquote il problema.
Ad ogni modo, non ho ben capito come si possa crescere, aumentando il carico fiscale. Forse, puoi ridurre il debito, permettendo al paese di tornare a crescere........ma parliamo di tempi lunghi, mentre nell'istantaneo il PIL ristagnerebbe, oppure crescerebbe di pochissimo.
Detto questo, non pensate che si dovrebbe fare più innovazione nel settore industriale?? Come possiamo difenderci dalla produzione a basso costo, dei colossi cinesi, indiani, ecc. ecc. ??
LoNg LiVe ThE MaD JoY oF BeInG RoMaNisT
Il tifoso indipendente non fa il tifo per un presidente
"Big man, pig man
Ha-ha, charade you are"



Il tifoso indipendente non fa il tifo per un presidente
"Big man, pig man
Ha-ha, charade you are"
- Freedom
- Pallone d'Oro
- Reactions:
- Messaggi: 49279
- Iscritto il: dom 10 giu 2012, 4:00
- Stato: Non connesso
Re: Parliamo della crisi economica
pressione fiscale del 55%? Ma dove?
In italia tra tasse dirette e tasse indirette si va oltre il 70% di tasse.
A fine anno ci tassano sul lordo,e non sul netto.
In italia tra tasse dirette e tasse indirette si va oltre il 70% di tasse.
A fine anno ci tassano sul lordo,e non sul netto.
ASR
- fabio656
- Fenomeno
- Reactions:
- Messaggi: 10722
- Iscritto il: sab 9 giu 2012, 13:43
- Località: A.S. Roma
- Stato: Non connesso
Re: Parliamo della crisi economica
MA QUESTI SO SCEMI:
OBBLIGATORIO PAGARE COL BANCOMAT PER SPESE SUPERIORI AI 50€!!
http://www.tgcom24.mediaset.it/politica ... euro.shtml
MA QUESTI SO SCEMI!
Se c'ho 1000 euro nel cassetto non li posso spende se prima non li porto in banca e me faccio fa il bancomat!!!
cioè, praticamente 1000 euro in contanti non valgono piu niente
ma so SCEMI!
ma che caxxo de divieto è??
ma questi te spiano ogni movimento!!
ora il limite è 999,9€ per l'uso del bancomat, e ci poteva stare...ma 50€ E' DA SCEMI!
solo in italia!!!!
questo è un aiutissimo alle banche!!!
chi non aveva conti, ora E' COSTRETTO AD APRIRLO CON TANTO DI BANCOMAT/CARTA DI CREDITO!
Ma ve rendete conto? se avete 500 euro da parte nel cassetto, non ce fate piu' niente...o comunque potete spenderli 40 euro alla volta.....
ma vaffancuxo.....

ovviamente i commenti all'articolo sono tutti di disprezzo....
OBBLIGATORIO PAGARE COL BANCOMAT PER SPESE SUPERIORI AI 50€!!
http://www.tgcom24.mediaset.it/politica ... euro.shtml
MA QUESTI SO SCEMI!





Se c'ho 1000 euro nel cassetto non li posso spende se prima non li porto in banca e me faccio fa il bancomat!!!
cioè, praticamente 1000 euro in contanti non valgono piu niente



ma so SCEMI!






ora il limite è 999,9€ per l'uso del bancomat, e ci poteva stare...ma 50€ E' DA SCEMI!




questo è un aiutissimo alle banche!!!


chi non aveva conti, ora E' COSTRETTO AD APRIRLO CON TANTO DI BANCOMAT/CARTA DI CREDITO!



Ma ve rendete conto? se avete 500 euro da parte nel cassetto, non ce fate piu' niente...o comunque potete spenderli 40 euro alla volta.....



ma vaffancuxo.....





ovviamente i commenti all'articolo sono tutti di disprezzo....
Daje Rudi !!!