[Serie A] Roma - Lazio [ 08.04.2013 ]

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Alex75
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Re: [Serie A] Roma - Lazio [ 08.04.2013 ]

Messaggio da Alex75 »

L'ANTILAZIALITA' SPIEGATA A MIO FIGLIO

TONINO CAGNUCCI

Mi ricordo bene quando Giorgio Sandri, il papà di Gabbo, il tifoso laziale assassinato dall’agente di polizia Spaccarotella, mi disse che «per me Totti era il nemico sportivo, il simbolo della Roma, il calciatore che non sopportavo». Mi ricordo che questa cosa mi fece sorridere, fu una nota leggera in quella mattinata in cui andai a intervistare Cristiano Sandri, l’altro figlio di Giorgio. E un po’ mi inorgogliva. Per me l’anti-lazialità è stato sempre un valore imperante, fondante, da insegnare e da trasmettere soprattutto alle giovani leve romaniste che un po’ l’hanno persa. Non si tratta tanto di essere più anti-laziali che romanisti, si tratta che non puoi dirti romanista se non sei anti-laziale. Nella biblioteca ideale accanto a Il razzismo spiegato a mia figlia di Tahar Ben Jellon, ci starebbe benissimo un volume del tipo L’anti-lazialità spiegata a mio figlio, un bel titolo anche per un paragrafo. Non è facile essere genitori, ma fortunatamente certi riferimenti restano e ti aiutano. Giorgio Sandri in quella nota lieve aveva assolutamente ragione: Totti non può non essere mal sopportato da un tifoso della Lazio che si dica tale, e Giorgio Sandri, quarant’anni di stadio prima dell’avvento di Lotito, era e continua ad essere un grande tifoso della Lazio. Perché Francesco Totti è il giocatore più anti-laziale che ci sia.
Lo è non tanto naturalmente, ma culturalmente, quindi conta anche di più. La sua è quasi una posizione acquisita, un traguardo raggiunto piuttosto che un dato – pur incontrovertibile – di partenza. Totti l’anti-laziale ha iniziato bene, ma ha continuato meglio. Non solo al Flaminio, ma già l’anno prima Francesco andava allo stadio a professare la giusta fede: «Ero in Sud quando Di Canio segnò e venne ad esultare sotto la Curva. Non ci conosciamo, non ho rapporti con lui, né voglio averne», disse nel 2005. Ma più le stagioni sono passate più Totti ha accresciuto il suo grado di anti-lazialità. L’apoteosi è arrivata il 18 aprile del 2010 con quei pollici versi verso la Sud che hanno commosso anche le future generazioni di romanisti. È un’immagine già più riconoscibile dei Girasoli di van Gogh, che ha superato il volto melanconico e ammiccante di Marylin, il faccione di Che Guevara o il capoccione di Mussolini. Non solo una nuova ideologia – la prima sostenibile dopo il crollo del muro di Berlino – ma una nuova filosofia. Quella sera, per la prima volta, un giocatore s’è fatto coreografia. E un telo uomo. La sacra sindone srotolata dalla Sud carne, ossa e pollici. È vero. Due. Sul telone della curva, esposto quasi misteriosamente, magicamente, in ritardo c’era il disegno di un Cesare che faceva il pollice verso (storie di antichi romani, anche perché di antichi laziali non c’è traccia: il più anziano sembra essere Gabriele La Porta). Un’ora e mezza dopo quella pittura era vivente, era scesa là sotto a farsi una passeggiata, come uno dei personaggi in cerca di autore di Pirandello, soltanto che qui l’autore era il personaggio: straordinario. Totti il segno dei pollici l’aveva fatto già il 6 dicembre in quel derby d’andata (quando aveva parcheggiato la sua asteroide 6 B 12 da Cassetti). A confronto il quadro Las Meninas di Velasquez, dove il pittore si dipinge dipingere mentre viene dipinto attraverso uno specchio eccetera è una faciloneria. In quel momento Totti era un Dorian Gray che invecchiava di tre punti, un racconto di Edgar Allan Poe, una coreografia vivente, appunto. Ma non bisogna conoscere Kant per capirlo. Totti è la bandiera della Roma e camminava sotto la curva: la coreografia della Sud. Mai come quel derby lo è stato, mai come nel derby non giocato. Totti s’era preparato ad essere immagine e somiglianza della Sud sin da ragazzino quando ci andava e in particolare quel pomeriggio: aveva fatto persino la doccia nell’intervallo, tanto da non fare in tempo a vedere il rigore parato da Julio Sergio. Si era sacrificato nel primo tempo e nello spogliatoio del Getsemani – dove qualcuno con poca fede si chiedeva «perché m’hai abbandonato?» – Ranieri lo aveva sostituito proprio perché uno così, uno così romanista una partita del genere, un derby del genere, lo doveva giocare nel posto che più gli competeva, sfruttandone le peculiarità, valorizzandone le caratteristiche: doveva andare da dove arrivava. In Sud. E quando la Roma ha segnato lui stava là sotto.
Ha cominciato a giocare il derby nel momento in cui è uscito. Totti è più tifoso della Roma di quanto ne sia campione, Totti è più innamorato della Roma di quanto sia capace col pallone. E lui in campo è van Gogh (la definizione è stata data nel gennaio del 2002 da Giovanni Trapattoni) è Mozart e Beethoven, è uno scapigliato e un soldato, un veliero e un’istituzione, è energia solare distribuita in tutta la terra di Germania e tuono, è tutto se gli cambi una vocale. Il Comune di Roma si dovrebbe attivare seriamente presso il Governo e l’Unione Europea per far sì che i pollici versi di Totti al derby del 18 aprile 2010 finiscano sulle monete dell’euro, come logica conseguenza – quasi una propaggine fisica – dell’Uomo Vitruviano. È stata persino fisiologica quell’esultanza visto che Totti quando segna il pollice se lo mette in bocca, non giocando, ma esultando, ha usato lo stesso arnese da lavoro come poteva. Era fisiologica quell’esultanza per quanto Francesco è romanista, quindi anti-laziale. È stato sempre così. A «Dribbling» per il derby dell’8 marzo 1998 intervistato da De Laurentis si rifiutò di provare a cantare l’inno della Lazio: «Non posso proprio, non me lo chiedete», disse. Il 29 novembre del 1998 impazzì dopo il 3-3 fatto a rimbalzella a Marchegiani, il tiro sbagliato più giusto del mondo, la traiettoria più lenta e penetrante, per il pari più incredibile: stavamo sotto 3-1, con due espulsi e venivamo dai quattro derby persi. Quello per molti è stato il derby più bello, quello è stato il primo gol di Francesco alla Lazio (quello dell’esultanza ragazzina di Sensi) quello è stato anche il suo primo derby giocato da capitano. Dopo la rete si andò a spiaccicare sotto la curva e si tolse la maglia per mostrarne un’altra, c’era scritto: «29-11-98. Carica ragazzi!». Tutta rossa color Roma, firmata Commando. Rendetevi conto. È stata quella la prima maglia di Francesco, è stata la prima maglia prima della maglia. Era l’11 aprile 1999, Roberto Benigni aveva appena vinto gli Oscar per La vita è bella, e l’11 aprile la vita diventa bella veramente, un altro miracolo filosofico, un altro modo di imitare l’arte, di essere coreografia: tre a uno, tre – come gli Oscar – e la Lazio che con quella sconfitta perderà lo scudetto. Il terzo gol è di Francesco. Poi il gol più bello, sempre suo: la maglietta del «Vi ho purgato ancora» che è già nell’immortalità (nello sgabuzzino dell’universo dove sono appesi al guardaroba i costumi che sono stati utili agli uomini, in un cassetto c’è quella maglietta là). Quella sera ero in Curva Sud e non vidi quello che aveva fatto Totti. Già sulla tangenziale per il ritorno arrivò la notizia, poi, a casa, dopo la notizia le immagini che la confermavano. È in quel momento che mi sono affezionato particolarmente a Totti per come e quanto dichiarava la sua anti-lazialità. Gli ho voluto proprio bene. Da quel momento Francesco è diventato per i laziali quello che era destinato ad essere: il nemico, il simbolo dell’essere romanisti, e, soprattutto, di un certo modo di essere romanista. È esattamente quel modo che mi ha fatto affezionare a lui, affezionare come ci si affeziona a un grande amore più che come ci si incendia per un innamoramento. Francesco è romanista soprattutto in questo, per la generosità, per la mancanza di certi sofismi, di sovrastrutture, di ricerche di stili che ti mettono al sicuro da certe critiche, da certi ambienti, da certi circoli, qualunque essi siano. Totti è sempre stato fuori moda, apposta poi l’ha creata, Totti è sempre stato uno di quartiere, uno che da ragazzino prima o poi doveva andare dal barbiere. Totti è il telefono coi fili, la pizza rossa e la pizza bianca, la villeggiatura più che la vacanza, più che il gettone – che vale sempre 200 lire – è la cabina telefonica. Il mangianastri arancione che aveva la zia più «moderna», la prima moquette nelle case di Roma senza ambienti da Arancia Meccanica. Totti è certe zone di Roma, San Giovanni dov’è nato è tutta sua. San Giovanni è uno dei posti di Roma meno cambiati dal ’76 a oggi. C’è lì una specie di medietà romana dove respiri il centro, perché ci stai, la storia, perché ce l’hai davanti, ai bordi del Colosseo, ma attraverso l’arco t’arriva pure l’eco bucato della periferia, non quello sostenuto della Cassia, di Collina Fleming, dei Parioli, le uniche zone dove puoi constatare una certa rilevanza laziale (sempre nell’ordine delle decine). È un modo di essere più sostanziale che stiloso. È chi va a imbucarsi – ogni tanto però – a una festa, piuttosto di chi è invitato a quelle in maschera o – peggio – a tema. Totti ha la faccia di un film di Pasolini, non quella di un libro di Moccia. Non sta tre metri sopra il cielo, ma in mezzo ai binari dove passa il tram di Fellini per Roma. È la tombolata non lo shopping. Pianerottolo e odore di fettina ben cotta. Totti è timido e per questo può diventare sfrontato non cinico, sveglio non opportunista. Tutto questo vuol dire appartenere a una certa tradizione tipicamente romanista. I tifosi della Roma rispetto a quelli della Lazio vanno al derby almeno un paio d’ore prima. Ogni volta che sono entrato in curva la Sud era già piena, la Nord mezza vuota. È un dato non un giudizio. Il tifoso della Roma comincia a cantare quasi da subito, il laziale aspetta la partita. Per lo stesso motivo a volte è capitato di anticipare la coreografia, mentre i laziali vanno quasi sempre a puntino. Il romanista dà senza percentuali, il laziale al massimo il 100 per cento quando ci si mette (una volta l’hanno pure scritto pensando fosse una professione d’amore). È proprio storia. Su una settantina di campionati siamo stati davanti a loro praticamente sempre, con distacchi pressoché infiniti, vincendo una quindicina di derby in più, anche per 5-0, 5-1, 4-0 più di una volta, eppure se vai a contare i trofei il raffronto è quasi (quasi) sostenibile per loro. Vero che la loro storia si chiama Sergio Cragnotti, cioè ha dieci anni non di più, ma è proprio questo che fa specie. Il romanista è più André che passa una vita ad amare veramente Oscar, la passa al suo fianco (va allo stadio, va in trasferta, la porta sottobraccio anche quando lei s’addormenta e non se n’è nemmeno accorta) senza essere ricambiato con la Coppa Campioni che vale, il laziale è semmai qualche conte bucolico di Fersen che trova l’opportunità e con quella ci ricama, se ne approfitta, ci fa carriera finché può. Il laziale trova lo slogan, sa vendersi, nel senso anche di valorizzarsi, il romanista a queste cose non ci pensa, va diretto, non conosce nessuna strategia, forte anche della consapevolezza di non poter dividere con nessun altro il cuore di una città che è sua già nel nome, nei colori, nel simbolo e soprattutto nell’anima. Nella tradizione. Totti ha sempre rappresentato tutto questo, forse anche inconsciamente. Totti ha rappresentato anche, se non soprattutto, il tifoso medio della Roma. Francesco non è di nicchia, non è un’esclusiva ultras, perché è del popolo. Totti è la Roma più che l’Aesse Roma. Francesco Totti è il chiacchiericcio di Roma, quello che gira per l’aria, prima di essere un nome già impresso nella sua storia. È nei discorsi sul pianerottolo fra Anna e Maria, con le porte di casa aperte come questa città sui ballatoi di San Lorenzo. Totti è quella Roma che resiste. Lui l’ha fatto: non se n’è mai andato. Anche in questo ha risparmiato tempo a Dio: niente parabole da figliol prodigo, semmai pallonetti, palombelle giallorosse, cucchiai. «Forza che il pranzo è pronto, ma speriamo che Totti domani segni». Anzi: «che domani segna». È meglio. Il congiuntivo a volte è un errore, non dà il senso. Totti resta Totti perché dov’è nato è rimasto: indicativo – col pollice – sempre presente. Non l’aveva mai fatto nessuno prima. Strano a dirsi ma nessuno l’ha mai detto, è il segreto più scoperto del mondo: la Roma nella sua storia uno romano, romanista così per sempre non ce l’aveva mai avuto. C’è solo Daniele De Rossi che può fare la stessa strada. Fulvio Bernardini iniziò con la Lazio, Amedeo Amadei il primo ottavo Re da queste parti andò all’Inter e al Napoli, Agostino prima d’essere cacciato al Milan, al Vicenza, Bruno Conti al Genoa. Giacomino core de Roma è di Cremona. E nemmeno TancrediNelaVierchowodAncelottiFalcãoMalderaProhaskaPruzzoIorio sono nati e finiti qui; neanche nessuno dei campioni d’Italia del terzo millennio. Nemmeno Peppe Giannini o Pluto Aldair. Totti è una rarità già semplicemente per questo, escludendo quel capolavoro d’arte varia che mostra al mondo con cui gioca a pallone ogni benedetta domenica. A consegnarlo nel cuore delle mamme romane, cioè all’eternità (perché Anna e Maria le puoi sentire ogni giorno sul pianerottolo, alla radio, all’università o al mercato) sarebbe bastata già quella maglietta, «v’ho purgato ancora». È in quel momento che si è consacrato il genio. Non l’aveva mai fatto nessuno prima di lui. Nessuno ti giuro nessuno. Al limite un’intera squadra indossando sopra la tuta un «Lazio no grazie» nel riscaldamento prima di dirgli pure prego al Flaminio (e Francesco stava lì a 3 metri sopra il campo). È lì che contro i potenti, fantomatici pseudo benpensanti, ha cominciato a usare il grimaldello. Quelle erano già barzellette per beneficenza. Il suo romano, lampo di una battuta («Aho») che fa a cazzotti e vince con la noiosa prosa mentale dell’italiano, giustamente archiviabile in un «è normale che». È normale per tutti ma non per Totti. Faccia romana e rinascimentale, un po’ Lorenzo il Magnifico un altro po’ er Più de San Giovanni, Porta Metronia. Poesie e pallonate. Stornelli e allenamenti. Sogni e conferenze. Il nostro piede sinistro infortunato contro il carrarmato, la mazzafionda del borgo contro l’establishment, Pasquino che, col dito in bocca, è arrivato a fare il suo sberleffo in mondovisione. Un televisore analogico a due pollici, altro che maxischermi al plasma in digitale. Francesco Totti non è solo Roma che non è sparita, ma quella che si fa vedere e t’innamora nell’arancio, o in quella luce che si mette la mattina. L’odore fresco di pane, sampietrini, cornetti e vento. La bandiera. Ma non per questo ci è diventato. No. Lui è il primo giocatore al mondo che s’è identificato nella sua tifoseria prima che succedesse il contrario. Il ragazzino che cantava «Lazio schifo fa ce potemo giurà i rigori so tre...». Ecco perché Totti è anti-laziale: è Roma.
Anche per questo Gabbo quella volta chiamò papà Giorgio per dirgli: «Io me ne vado, stasera qua non lavoro». Gabbo faceva il deejay, lo sanno tutti quelli che si sono occupati della sua storia, una storia che riguarda tutti. Quella sera la Roma aveva appena vinto la Coppa Italia ed era andata a festeggiare nel locale in cui Gabriele Sandri metteva la musica. Quando Gabriele si accorse chi c’era, e c’era pure Totti, chiamò immediatamente a casa per dire che quella volta sarebbe tornato prima perché «io per Totti non suono». Alla fine Gabbo decise di restare, probabilmente, più che per gli obblighi lavorativi, perché se ne fregò degli ospiti pensando solo all’altra sua grande passione, oltre la Lazio, che era la musica. Sicuramente non gli dedicò la sua canzone preferita: Meravigliosa creatura.
Questa storia Giorgio e Cristiano me l’hanno raccontata due volte, le due volte che sono andato a trovarli al negozio che hanno sulla Balduina. La seconda volta era proprio per parlare di Totti, per il libro, perché la prima erano stati loro a parlarmi di Francesco. Io ero andato là per parlare dell’assassinio di Gabbo, perché dopo tanto clamore, era il 3 gennaio del 2008, già non se ne stava parlando più. Feci un’intervista a Cristiano col papà presente, che ogni tanto interrompeva per aggiungere qualcosa.
«Sono tifoso della Lazio da 33 anni, sono nato nel ’74, sono della Lazio. Mio padre è tifoso della Lazio, è lui che mi ha portato a vederla quand’ero piccolissimo. Me lo ricordo, era lo stadio di Pisa, una partita di Coppa Italia, avrò avuto sì e no 5 anni . Era sera, c’erano le luci. Più che altro ho immagini di quello stadio. Sono stato abbonato in curva dai miei 16 anni fino ai 30, poi, così come va per molti altri che hanno vissuto lo stadio, gli amici si sono spostati in tribuna e con loro anch’io. Mio fratello invece continuava ad andare. Dal giorno della sua morte non sono più andato, ma ho intenzione di farlo perché ho quasi l’impressione che tornandoci fisicamente ci posso riportare anche mio fratello. Certo, quando mi sentirò di affrontare questo... Sì, il prossimo derby potrebbe essere un’occasione importante per dimostrare una presa di coscienza di tutti i tifosi, nella circostanza della Roma e della Lazio, ma non solo loro. Purtroppo quando si parla di tifosi lo si fa come ci si riferisse a una categoria di sottosviluppati e non di cittadini, di essere pensanti. Non so se io... sarebbe un’occasione importante. L’ultimo derby l’ho visto proprio con Gabriele... Potrebbe essere un’occasione anche per me».
È a quel punto che intervenne Giorgio:
«Io vorrei andare in Curva Sud. Come facevi un tempo con gli amici, a giocare a scopetta prima. Io vorrei andare a vedere il derby in Curva Sud».
Dopo quell’incontro Cristiano Sandri tornò allo stadio proprio nel derby, il papà andò veramente in Curva Sud e Francesco Totti sotto la Nord prima della partita a depositare un mazzo di fiori per Gabriele. L’aveva già fatto Francesco un gesto del genere.
È proprio l’inizio del racconto, quello di papà Giorgio:
«Sono laziale da sempre, ho fatto 44 anni di stadio, e Francesco Totti era il mio nemico sportivo, calcisticamente e campanilisticamente non lo sopportavo. Poi l’ho conosciuto il giorno del funerale di Gabriele e ho scoperto una bellissima persona. Di quel giorno tremendo ho pochi ricordi nitidi, una è la faccia di Totti. Non lo sapevamo nemmeno che sarebbe passato. Venne alla celebrazione evitando le telecamere e mettendosi in disparte senza dire parole. Nella stessa maniera in Chiesa venne da noi per farci le condoglianze. Tante persone sono venute a stringerci la mano, a darci un abbraccio, tanti volti non me li ricordo, ma quello di Francesco sì, e questo già ti dice tanto: era sinceramente dispiaciuto, toccato del dramma che stavamo vivendo. Fu discreto, composto, pudico, sincero, queste cose un papà a cui hanno appena ammazzato un figlio le capisce. Abbiamo avvertito la sua partecipazione al nostro dolore, stando sempre defilato, senza dire una parola tranne quel venire a cercarci per far vedere, ma solo a noi, che c’era pure lui il giorno del funerale di Gabbo».
Quel giorno Francesco invitò Giorgio e Cristiano, insieme alla signora Daniela, la mamma di Gabriele, per una visita a Trigoria. Al «Fulvio Bernardini» Cristiano trovò il tempo di una battuta «Un po’ di celeste su queste pareti bianche?», respinta immediatamente da Totti: «Non scherziamo». Quando sono tornato al negozio Cristiano mi ha ricordato tutte queste storie che ricordavo benissimo, perché quell’intervista che gli feci è una delle cose che ho più a cuore. Ho soprattutto una domanda – e una sua risposta – a mente. Quando gli chiesi se mai un giorno avesse avuto dei figli, se...
«Li manderei in curva. Io mi ricordo quando andavo in curva quattro ore prima, l’emozione che mi dava il fatto di poter cantare per la mia squadra, poterla sostenere. Anche io, e non solo mio fratello, mi posso definire un ultras, anche mio padre si può definire un ultras, anche tu se lo sei per la Roma. La parola ultras è sentita solo con un’accezione negativa e invece non è così: è il modo più bello di seguire la squadra del cuore ovunque essa giochi, fattivamente, incitandola. Creando quelle amicizie che sono poi la cosa più bella nel seguire questa passione. La goliardia, i sorrisi, i viaggi, la spensieratezza con cui si va allo stadio, oltre che per vedere la partita della squadra del cuore, per lo stare con gli altri, con gli amici e con chi non conosci ma che abbraccerai. Per viaggiare, una giornata insieme, a pranzo come sarebbe capitato a Gabriele se non fosse stato fermato prima... Di andare a vivere. Ad essere così vitali come accade. E la Curva secondo me è una delle massime espressioni nel calcio, il sentimento più alto. È una cosa bellissima perché ti senti partecipe di una comunità autentica, semplice ma forte. Forse veramente lo stadio, e la curva in particolare, è l’unico posto in cui certi ostacoli, certe barriere cadono, il posto più trasversale che ci sia: nessuna differenza di ceto, di istruzione, di professione, di religione. Proprio per questo, visto il modo così genuino e del tutto spontaneo di vivere il calcio e in definitiva la vita, io posso dire che se avrò dei figli sicuramente li manderò in curva. Sempre se lo vorranno».
Una volta a Totti chiesero la stessa cosa:
«Se mio figlio divenisse un tifoso della Sud ne sarei contento. Io un giorno ci tornerò senz’altro in Curva. Esserci riandato è stato un sogno. Ogni volta che entro in campo e guardo la Sud provo una grande emozione. È difficile raccontarlo. Spero che quando sarà grande mio figlio sarà fiero di me, perché significherà che ho fatto un buon lavoro come padre. Quando gli ho mostrato la Curva era divertito e tranquillissimo, da questo capisco che sicuramente sarà un gran romanista. Poi lui gli ha mandato i baci».
La cosa più bella di tutta questa storia è che Cristiano ha avuto un bambino, un figlio: lo ha chiamato Gabriele. Mentre parlavamo di Totti – per questo libro – è arrivato con la mamma: una meravigliosa creatura che all’epoca aveva dieci mesi. È stato un momento bellissimo. C’era il sole fuori, nonno Giorgio s’è preso il nipotino in braccio, la mamma ha rifiatato un attimo e Cristiano era felice come può esserlo un papà. Non è più tornato allo stadio dopo quel derby. «Quando succederà sarà con mio figlio», disse. Un giorno è successo che Gabriele Sandri è tornato allo stadio, e succederà che un giorno ci riporterà il padre e probabilmente il nonno di nuovo in Curva Nord. Probabilmente quel giorno ci sarà Cristian Totti, sicuramente in Curva Sud e – speriamo – farà i pollici versi a tutti e tre. È questa l’anti-lazialità che spiegherò a mio figlio.


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Re: [Serie A] Roma - Lazio [ 08.04.2013 ]

Messaggio da Ghost12 »

Tonino é un grande!!
Ciao TuX!!!

Se lotti puoi perdere, se non lotti hai già perso!!!
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Re: [Serie A] Roma - Lazio [ 08.04.2013 ]

Messaggio da teacher »

Ho deciso, per vari motivi domani nn andrò nonostante abbia il tagliando e nn la vedrò probabilmente.
Io nn lo vojo piú giocà e ogni santo giorno prego il Signore che li faccia sparí dalla faccia della terrà.
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[Serie A] Roma - Lazio [ 08.04.2013 ]

Messaggio da Blandols »

Ansia.
principe68 ha scritto:il vero problema di Blandols è che è come quello zio che non è mai cresciuto che ti fa vedere come è bella la Playstation, tu gli chiedi se te la fa provare e lui te risponde "col cazzo"
scusate ma sono fatto così.
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Re: [Serie A] Roma - Lazio [ 08.04.2013 ]

Messaggio da il_noumeno »

Prof regala il biglietto però se non ci vai...

-20 ore circa: e sempre Lazie merda...
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Re: [Serie A] Roma - Lazio [ 08.04.2013 ]

Messaggio da teacher »

il_noumeno ha scritto:Prof regala il biglietto però se non ci vai...

-20 ore circa: e sempre Lazie m##da...
nn è biglietto, ho la privilege col segnaposto.
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Re: [Serie A] Roma - Lazio [ 08.04.2013 ]

Messaggio da Zarathustra »

stupendo articolo di Cagnucci, veramente.
Stefano.
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La Roma chic è con voi.
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Re: [Serie A] Roma - Lazio [ 08.04.2013 ]

Messaggio da RomaTiAmo »

:twisted:
πάντα ῥεῖ
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Re: [Serie A] Roma - Lazio [ 08.04.2013 ]

Messaggio da fabio656 »

catania pareggia, fiorentina pareggia, inter perde in casa con l'atalanta = ennesima occasione per arrivare 4 = non vinceremo mai
Daje Rudi !!!
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Matteo
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Re: [Serie A] Roma - Lazio [ 08.04.2013 ]

Messaggio da Matteo »

Agguantare inter e regionali con tre punti....
Vedemo quello che demo da fa..!!!
:prego:
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ilmauro
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Re: [Serie A] Roma - Lazio [ 08.04.2013 ]

Messaggio da ilmauro »

tanto è inutile
ilmauro ha scritto: quoto, perché tutte le ragazze che ho avuto se so avvicinate loro
RomaTiAmo ha scritto:Perché sei un gran figo
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Re: [Serie A] Roma - Lazio [ 08.04.2013 ]

Messaggio da 433 »

ilmauro ha scritto:tanto è inutile

mai sentito parlare della legge di attrazione?
Le opinioni dovrebbero essere basate sui fatti

e i fatti non dovrebbero basarsi sulle opinioni
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Knick
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Re: [Serie A] Roma - Lazio [ 08.04.2013 ]

Messaggio da Knick »

Matteo ha scritto:Agguantare inter e regionali con tre punti....
Vedemo quello che demo da fa..!!!
:prego:
Non agguantarli,ma superarli, a parità di punti abbiamo il vantaggio degli scontri diretti con l'Inter e in caso di vittoria stasera vanno considerati i 2 gol segnati in "trasferta" all'andata......
Ennesima occasione d'oro.... ennesima disfatta?
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Re: [Serie A] Roma - Lazio [ 08.04.2013 ]

Messaggio da ChiamatoreMascherato »

voglio la doppietta del capitano con tanto di record di gol nel derby!!!
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Re: [Serie A] Roma - Lazio [ 08.04.2013 ]

Messaggio da Matteo »

ChiamatoreMascherato ha scritto:voglio la doppietta del capitano con tanto di record di gol nel derby!!!
Voglio asfaltarli....con un autogol di biava al 94esimo e un rigore inesistente al 95esimo....voglio Roma invasa da scatole di Maalo*!!!

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